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Volume 15 XV Concorso 1982. La problematica urbanistica relativa alle zone costiere italiane, a cura di Mario D’Erme e Vincenzo Di Gioia, A. Giuffré, Milano 1986.

Volume XV – XV Concorso 1982. La problematica urbanistica relativa alle zone costiere italiane, a cura di Mario D’Erme e Vincenzo Di Gioia, A. Giuffré, Milano 1986.

In trenta anni di attività la Fondazione, con i suoi bandi di concorso biennali aveva affrontato, anticipandoli, molti dei temi “caldi” con cui si sarebbero dovute confrontare, negli anni successivi, la cultura e la pratica dell’urbanistica.
Per il quindicesimo Concorso Nazionale, il Consiglio di Amministrazione decise di focalizzare l’attenzione del bando di concorso sul tema dei confini marittimi del territorio nazionale; i litorali, infatti, con oltre 7200 chilometri di coste, costituiscono la parte più delicata del territorio italiano. Era verso questo limite, ad iniziare dalla Roma mussoliniana del piano del 1931, che, da decenni, tendevano a convergere e ad indirizzarsi le più intense spinte insediative manifestatesi nel nostro paese, sfruttando le risorse e le capacità di rendita di posizione offerte dalle aree costiere.
Tra tutte le aree del territorio nazionale, infatti, le coste erano quelle che maggiormente avevano subito l’assalto dell’insediamento più recente, spesso selvaggio, disordinato, creatore certo di posti di lavoro e “migliori condizioni di vita”, ma anche causa di un mutamento irreversibile di uno dei paesaggi più decantati del mondo, segnato ovunque da pesanti interventi, da caotici impianti e, non di rado, da manomissioni insensate.
Di fatto, le coste italiane erano state le parti del territorio più penalizzate dalle conseguenze dell’accelerato e disordinato sviluppo edilizio degli anni sessanta e settanta; la scomparsa di tante zone umide, regno di specifiche peculiarità naturali, iniziata cinquanta anni prima con i massicci interventi di bonifica, era continuata indisturbata, rendendo abitabili zone che non lo erano state per millenni, aprendole all’uso ed all’abuso di una residenzialità diffusa e di un turismo di massa sempre più imponente. La situazione di grandi tratti delle coste italiane, fino a pochi decenni prima pressoché disabitate o segnate da piccoli villaggi di pescatori (fatta eccezione, ovviamente, delle aree su cui insistevano città costiere), era stata definita in un articolo apparso sulla rivista del Touring Club nel 1981.

“Sono 644 i comuni che si affacciano lungo le coste italiane, con una popolazione di 16 milioni di abitanti. In stagione turistica le presenze annue in questi comuni arrivano a 47 milioni – concentrati per circa il 40% nei mesi di luglio e agosto – Con distribuzione fortemente diversa da zona a zona, negli stessi comuni risultano insediate circa 130.000 realtà industriali che producono un carico inquinante pari a quello di quasi 30 milioni di abitanti. Il traffico marittimo, che fa capo a 187 porti ed approdi dislocati lungo tutta la costa peninsulare ed insulare, è quantificabile in 250.000 natanti per anno e 17 milioni di passeggeri, di cui solo 7 a Napoli. Con una qualche approssimazione si può dire che le acque litoranee ricevono, dai soli comuni costieri, il contributo inquinante equivalente a 100 milioni di abitanti.”
Pochi dati, questi, all’epoca di pubblico dominio, a cui però non era mai stata prestata la dovuta attenzione. Il campo delle iniziative, cominciando da quelle propositive, era ancora carente. Su questi argomenti difficilmente si andava oltre la denuncia di tipo giornalistico per affrontare alla radice il problema con una approfondito processo culturale che, da una presa di coscienza dei problemi, quale momento essenziale dell’operare umano, passasse al successivo momento propositivo.
La legge sul mare – n. 979/1982 -, che avrebbe posto il tema del “piano generale di difesa del mare e della costa marina”, era in dirittura di arrivo ma, per la sua applicazione, occorreva mettere a disposizione di chiunque avesse operato all’interno dei suoi dettami, idee, normative, metodologie di intervento ed esempi su cui costruire una gestione programmata delle zone costiere per gli anni a venire.

La Fondazione, ancora una volta, ritenne suo compito svolgere la propria parte al servizio della cultura urbanistica e di chiunque avesse dovuto operare nello specifico settore della difesa delle zone costiere.

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