Volume 16

Volume 16

Volume XVI – XVI Concorso 1984. La situazione tecnico-giuridica dell’urbanistica italiana. Considerazioni e dati per una legge quadro sull’urbanistica, a cura di Fernando Della Rocca, A. Giuffré, Milano 1995.

Caos. Difficilmente una parola poteva rendere in maniera più appropriata la situazione in cui si trovava chiunque avesse avuto la ventura di affrontare operativamente un qualsiasi tema di carattere urbanistico od edilizio nel nostro paese nei primi anni ottanta.

Quarantadue anni erano trascorsi dalla emanazione della legge del 1942, tuttora operante. In questi anni molte leggi si erano occupate di urbanistica; la materia veniva trattata anche in singoli articoli di leggi che poco o nulla avevano a che fare con essa e numerosi regolamenti ministeriali, regionali o locali si occupavano dell’argomento, a volte l’uno in aperta contraddizione con l’altro. Presso i tribunali amministrativi regionali ed il Consiglio di Stato giacevano pendenti migliaia di ricorsi per “interpretazioni autentiche”; i “pretori d’assalto” facevano la loro parte e l’apparato burocratico nell’incertezza, preferiva l’immobilismo della resistenza passiva, della richiesta di ulteriore documentazione, forte anche della prassi giuridica del silenzio-rifiuto, alla possibilità di un qualsiasi coinvolgimento, spesso dai risvolti penali, sia nel caso di autorizzazione, che di diniego ad operare.

In tutto questo, forte del “tutti lo sanno, nessuno lo vede”, dominava assoluto, specie nelle grandi città del centro e del sud, il fenomeno dell’abusivismo urbanistico ed edilizio di massa. Intere città “parallele” e “fantasma” nascevano e crescevano ai bordi di quelle esistenti. Aziende agricole di centinaia di ettari venivano comprate per pochi soldi, lottizzate a scacchiera in centinaia di appezzamenti di terreno da rivendere con guadagni di dieci o cento volte; in poche settimane, sorgevano costruzioni non proprio della migliore architettura. Soltanto nel Comune di Roma la legge sul condono edilizio del 1985 avrebbe portato alla luce alcune centinaia di migliaia di edifici abusivi; senza tema di essere smentiti, si potrebbe quantificare in circa un milione il numero degli alloggi realizzati in quegli anni nel nostro paese in totale assenza di controlli di legge o rispetto dei regolamenti edilizi.
Parallelamente un abusivismo, senza dubbio di minore entità ed importanza, fatto di verande, sopraelevazioni, mansarde recuperate ad usi abitativi, veniva registrato anche nella parte già edificata delle città. La necessità di adeguare gli alloggi alle nuove esigenze, compreso il riattamento e la sostituzione delle parti vetuste, si scontrava con la necessità di richiedere un permesso amministrativo che non arrivava mai; e ciò anche per la semplice sostituzione di un pavimento od il rifacimento di un bagno. I locali lavatoio, ormai inutilizzati da decenni, venivano trasformati in mansarde e i piccoli terrazzini degli appartamenti, “inutili” sebbene previsti da regolamenti edilizi vecchi di oltre 50 anni, venivano chiusi a veranda in un bailamme di materiali che deturpavano le facciate degli edifici per installarvi la lavatrice che non trovava posto in altre parti della casa.
Piccoli, medi e grandi abusi, quasi sempre di necessità, hanno portato centinaia di migliaia, se non milioni di italiani, quando sono stati denunciati, davanti al pretore, intasando il sistema giudiziario e contribuendo, in tal modo, ad un’auto alimentazione del fenomeno. Tanto più la giustizia veniva coinvolta – spesso costrettavi per il principio della obbligatorietà dell’azione penale – da una stampa che scatenava la “caccia alle streghe” senza avere dei reali riscontri obiettivi, tanto più si bloccava il sistema amministrativo, terrorizzato dal fatto di poter comparire davanti ad un tribunale; tanto più il sistema si bloccava, tanto maggiore diventava l’abusivismo ed il “consumo” irresponsabile e non progettato, né tanto meno pianificato, del territorio.

La situazione era diventata insostenibile e la necessità di riportare la disciplina giuridica dell’urbanistica all’interno di una nuova legge quadro, di un testo unico comprensibile ed applicabile, si faceva di giorno in giorno più impellente.
Compito della Fondazione non era evidentemente quello di proporre una legge quadro od un testo unico, quanto quello, statutario, di sviluppare ed incentivare gli studi in campo urbanistico. Il Consiglio di amministrazione, quindi, non senza titubanze, nel 1984, decise di porre all’attenzione degli studiosi della città il tema della “Situazione tecnico giuridica dell’urbanistica italiana”. Il tema, venne proposto dall’Architetto Gian Aldo Della Rocca e venne accolto all’unanimità nonostante i dubbi espressi dallo stesso proponente. Dubbi riassumibili nel fatto che la situazione giuridico-legislativa del nostro paese, in campo urbanistico-edilizio, si era talmente ingarbugliata da potersi prevedere anche il fatto che nessuno avrebbe avuto il “coraggio” di cimentarsi nell’impresa. Dubbi che, alla scadenza dei termini concorsuali, si rivelarono fondati, ad ulteriore riprova dell’involuzione in cui era caduta la materia: il Concorso andò infatti deserto.

Preso atto di ciò, la Fondazione non abbandonò l’iniziativa e, dopo qualche anno, diede incarico a due cultori di redigere uno studio ad hoc sull’argomento, che venne pubblicato nel sedicesimo volume della Collana “Studi Urbanistici”.